Sorseggio il caffè a fine pranzo, rigorosamente amaro. Abbandono la tazzina nel lavandino, indosso abiti comodi, allaccio le scarpe e vado. 

Mi reco nel mio santuario, modesto luogo in cui mi concedo il lusso di essere, di stare a ritmo lento con i pensieri in un mondo che non concede pause.

Tale palcoscenico mi offre una sensazione di libera calma. Qui leggo, qui corro, qui prendo il sole, qui abbraccio il silenzio, qui osservo. 

E mentre ogni giorno il paesaggio intorno muta colorandosi di sfumature nuove, io rimango saldo nel mio rituale. Non si tratta del luogo perfetto, si tratta di un luogo intimo.

Il rituale, lo so, è un compagno instabile. Nasce, muore, talvolta risorge. Ha bisogno di essere custodito affinché non diventi una prigione per l’anima. Deve fluire liberamente, senza costrizioni.

Non è semplice esperienza e non genera dipendenza. Il rituale simboleggia. Il rituale crea nuove vie.

Qui, ogni artificio si disperde nell’aria e torno a essere io.

E così, nei giorni perfetti, non sono gli atti meccanici a definire il mio rituale. Ora, consapevole, partecipo con gusto a questa antica cerimonia che celebra la bellezza. 

Qui c’è pace. 

Luigi

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