Ogni giorno seguivo lo stesso rituale: un bagno nel mare al mattino presto, una doccia di acqua dolce per lavare via il sale, un po’ di sole per asciugarsi e poi una lunga mattinata al tavolino di quel lido.

Il mare, così come la natura in termini più ampi, aveva il potere di trasmettere una serenità impagabile, capace di far vibrare l’anima su frequenze di pura pace.

Un ragazzo, uno di quei venditori ambulanti che percorrono incessantemente la spiaggia, si avvicinò al bancone. Il suo corpo esile e il volto scavato rivelavano la durezza della sua vita, ma nei suoi occhi c’era una luce timida e sorridente. Chiese dell’acqua. 

Un uomo tedesco, corpulento e dall’aria bramosa, si avvicinò rapidamente. Con un cenno alla ragazza del bar, fece intendere che avrebbe pagato lui. Lei, come ogni giorno, rispose con un sorriso.

L’uomo invitò il giovane venditore a prendere anche qualcosa da mangiare. Il ragazzo, senza voler approfittare, accettò con gratitudine una brioche.

Quando tutto terminò, il signore tedesco tornò alla spiaggia. Incrociò il mio sguardo, scambiando un sorriso, e io gli feci un cenno di apprezzamento per la sua generosità. Anche il venditore ambulante se ne andò, salutandomi con un lieve inchino del capo e un sorriso sempre timido. Ricambiai il saluto, e per quella giornata non avevo bisogno di altro. 

Il copione era sempre lo stesso: un bagno in mare al mattino presto, una doccia di acqua dolce per togliersi di dosso il sale, un po’ di sole per asciugarsi e poi una lunga mattinata al tavolino di quel lido.

Osservavo la ragazza del bar. La sua gentilezza e la sua cordialità illuminavano quel luogo.

Conosceva i gusti e le abitudini di ognuno dei frequentatori. Di quel simpatico signore, per esempio, sapeva che arrivava puntuale per il suo bicchiere di acqua e menta e spesso dimenticava qualcosa, come il gettone per la doccia o il telefono sul bancone. Lei, simpaticamente, lo redarguiva.

Io ordinavo un caffè doppio con ghiaccio e, a metà mattina, un succo d’arancia, sempre con ghiaccio. Bastò un giorno perché la ragazza capisse le mie abitudini. 

Il giorno dopo, anticipò la mia richiesta con un sorriso:

– Prendo un caffè doppio… – dicevo io.

– Con ghiaccio – aggiungeva lei.

Questi piccoli gesti creavano un rituale, trasformando quel luogo estraneo in una casa lontano da casa. E in quei momenti, si trovava una sorta di conforto e appartenenza, come se l’umanità stessa si rivelasse nei piccoli atti di cortesia e attenzione.

In quegli incontri e in quegli sguardi scambiati, si rifletteva la semplice ma profonda verità della bontà umana. La generosità del signore tedesco, il sorriso timido del giovane venditore e la premura della ragazza erano tutti segni di una morale che, nel suo essere silenziosa e quotidiana, dichiarava l’importanza di vedere e riconoscere l’altro.

Attraverso tale riconoscimento e attraverso la determinazione dei rituali che lo generano, l’esistenza, con tutte le sue fugacità, trova una sua stabile bellezza.

Luigi

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