Camminavo con lentezza tra i corridoi dell’aeroporto di Phuket, nel cuore del sud della Thailandia. Il semplice gesto di far scivolare i piedi sul pavimento liscio, senza una logica apparente, era diventato per me un rituale di rilassamento tra uno spostamento e l’altro.

Mi guardavo intorno alla ricerca di un ristorante in cui cenare. Una cena veloce prima del volo per Bangkok. 

Erano gli ultimi giorni di un viaggio che, in quell’istante nella mia mente, non rifletteva la sua reale dimensione. Solo una volta tornato a casa, avrei compreso appieno la portata di quell’esperienza.

In un angolo remoto, un piccolo e accogliente pub richiamò la mia attenzione. Emanava un’atmosfera calda e invitante. Mi avvicinai per leggere il menù. 

All’ingresso, una giovane ragazza dall’aspetto minuto, con indosso il cappello del locale e una mascherina, mi porse la carta. Osservai il menù velocemente e le dissi che avrei chiamato i miei amici per cenare lì tutti insieme.

Lei chinò il capo, giunse le mani in segno di ringraziamento e i suoi occhi sorrisero.

Mi stavo ormai abituando a quel grado di cordialità e attenzione autentica per il prossimo. Era diventato un elemento costante dei miei ultimi 14 giorni di viaggio. Inizialmente poteva sembrare un atteggiamento sospettoso, tipico di chi è pronto ad approfittare di te o a truffarti. Ma ben presto capii che non era così.

Ci sedemmo al tavolo. In sala era presente solo un ragazzo che cenava poco distante da noi. Quel piccolo pub, così accogliente ed elegante in un contesto così frenetico come un aeroporto, sembrava essere un piccolo tesoro riservato solo ai viaggiatori più attenti e scrutatori.

Quei viaggiatori che sanno prendersi il tempo necessario per decidere cosa fare, come farlo e poi, lasciarsi trascinare dalla scoperta.

Potrebbe sembrare una visione eccessivamente romantica del contesto, lo ammetto. In fondo in un aeroporto cosa c’è di così romantico?

Ma c’era qualcosa di straordinariamente affascinante nell’osservare l’ambiente che si era creato. E poi quella cameriera. È difficile descriverla a parole, ma posso assicurarvi che la sua grazia e la sua attenzione nei gesti catturò la mia ammirazione e quella dei miei amici.

E oggi, riflettendo su quel viaggio, ho chiaramente definito nella mia mente la lezione che ho portato con me a casa. Una lezione dura da assimilare nello scenario occidentale, ma allo stesso tempo un messaggio potente di cui voglio essere portatore. 

Questa lezione, dura ma semplice, si manifesta nell’apertura verso gli altri, espressa attraverso piccoli gesti come un sorriso, un cenno del capo, un saluto cordiale o una disposizione spontanea all’aiuto degli altri. Questi gesti rendono l’animo leggero e grato.

Ringrazio tutti quegli uomini, quelle donne e quei bambini Thailandesi che ho incrociato anche solo per brevi istanti e che hanno saputo regalarmi quel brivido di umanità che, a dispetto del tempo che trascorre, resta impresso nei miei occhi e nella mia anima.

Come quelle bambine sul pulmino della scuola in un villaggio remoto al confine con il Myanmar, che mi hanno salutato da lontano invitandomi a unirmi a loro;

o come il capitano della barca che taglia la frutta e ce la offre sotto gli alberi mentre noi dormiamo rilassati in spiaggia; 

o come la cassiera di un fast food di Bangkok che, nel caos del suo ambiente di lavoro, mi ha consegnato il resto assicurandosi di mantenere le sue mani sotto le mie, nel caso in cui qualche moneta mi cadesse; 

o come la famiglia di Chiang Mai in quella domenica tra gli abitanti del posto al lago sulle palafitte, che ci spiegò a gesti e sorrisi come chiamare il cameriere suonando una piccola canna di bambù; e così via con centinaia e centinaia di persone. 

E con lo stesso intento di gratitudine, attraverso l’utilizzo delle parole che amo concatenare, ringrazio tutti: mani giunte, capo chino. Una combinazione di piccoli gesti che spesso alimentano il disagio dell’uomo in veste da turista. 

Una sequenza che smonta l’ego. L’apertura totale e incondizionata della propria persona verso l’altra. Dimostrazione di consapevolezza del proprio essere, non differente dall’altro, ma parte di esso. Forma di gratitudine che sorprende, disorienta e scioglie ogni forma di inibizione.

Unisco le mani, chino il capo. Lezione di umanità che, fortunatamente, permane conservata da un popolo, da una società che nella sua evoluzione ha conosciuto il potere della tutela del rispetto per l’altro.

Al popolo Thailandese.

Luigi.

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