Girovagavo per casa, la sera, al termine di un’altra giornata in cui quel pensiero fisso scandiva le ore.

Mi chiedevo come fosse possibile essere continuamente ossessionati dal fare. Pensavo a quel lavoro da realizzare, a quell’idea da trasformare in business o a quel compito da terminare.

Ero totalmente focalizzato sulle cose da compiere. 

Mi ripetevo:

Sono sempre fissato sul fare e quasi mai sull’essere. Concedo il monopolio della mia mente alle cose da fare. Raramente mi concentro sull’essere. Eppure, quest’ultimo, mi rende vivo, presente e soddisfatto. 

Cercai di non farmi sfuggire quell’intuizione. Volevo scriverci un articolo e capire come raggiungere un senso di soddisfazione più elevato.

LE COSE SEMPLICI SONO L’ESSENZA

Aprii il mio notebook. Di fianco a esso l’immancabile agenda nera in cui segnavo ogni cosa che ritenevo utile a fare chiarezza nell’intricato mondo mentale.

Iniziai con un brainstorming partendo dalle parole che poco prima mi avevano acceso. Mi venne in mente un collegamento che probabilmente mi spingeva tutti i giorni a fare cose. 

L’idea che le vite migliori siano quelle che posseggono grandi cose. Una grande ricchezza, un oggetto di valore, una grande attestazione pubblica o un grande numero di amici.

Ecco perché inseguivo maniacalmente cose da fare. Inconsciamente inseguivo quello status.

Chiusi gli occhi e pensai. Mi immedesimai in quello scenario. Non era per nulla quello che sognavo. 

Io amavo una buona compagnia, un buon libro, della bella musica, un po’ di attività fisica, un nuovo viaggio o una camminata in spiaggia.

Ero attratto dalle cose più semplici, quelle più piccole. E mi accorsi anche di possederle tutte.

LA CONTAMINAZIONE CON CUI PERDERE L’ORIENTAMENTO

Proseguivo a scrivere. Il mio brainstorming prendeva forma.

La domanda era scontata: per quale motivo, se amavo le cose semplici ed ero consapevole che esse fossero sufficienti, continuavo a focalizzarmi esclusivamente sul fare e non concedevo più spazio al mio essere?

Cercai di visionare il mio percorso. Ma anche tutto quello che avevo intorno. 

Avevo vissuto in una società che rappresentava una colonna portante della mia evoluzione. Influiva pesantemente su di me.

E qual era la direzione intrapresa da quella società?

Esattamente quella del fare ossessivo, a ogni ora del giorno. Anche quando sembrava di essere in un momento di relax, un momento in cui dedicarsi al proprio essere. 

Così, mentre leggevo un libro, pensavo a come avrei potuto fare meglio quel lavoro in ufficio o come avrei dovuto risolvere quel nuovo problema. 

E del mio essere, del momento per me stesso, neanche l’ombra.


Arrivai a una conclusione che mi fece male, molto male: avevo vissuto fino a quel momento con la convinzione inculcata dagli altri che l’unità di misura della mia felicità fosse la crescita all’interno di quella società.

GIOCARE O PERDERE

Era come se ogni cosa stesse prendendo la forma di un enorme gioco a cui tutti gli esseri umani partecipavano.

Scrivevo e si faceva strada nella mia testa una nuova consapevolezza: a quel gioco non potevo non partecipare.

Era un gioco che mi spaventava, a tratti respingevo ma dovevo adattarmi. Non potevo più rifiutarlo, dovevo essere tra i partecipanti. 

Sembrava tutto così deludente, contro il mio essere, eppure scoprii il contrario. Cominciai ad apprendere le sue regole, a essere competente e a sentirmi sicuro. 

E poi cominciai anche a vincere, a ottenere i primi risultati soddisfacenti. Sembrava essere così intrigante che, in passato, da fuori non riuscivo ad apprezzarlo. 

Mi vennero in mente alcune domande:

ma tutta la gente che mi raccontava della passione smisurata per quello che faceva, era nata con quella stessa passione? Davvero nasce gente appassionata di economia, di marketing, di IT o di qualsiasi altro settore lavorativo? 

Forse qualcuno, ma la maggior parte della popolazione mondiale assolutamente no.

E allora come ci si può appassionare?

Esattamente come stavo sperimentando in prima persona. Stavo diventando bravo, stavo vincendo in quello che facevo, stavo raccogliendo dei risultati che mi soddisfacevano. 

E mi rendevo conto che più vincevo, più mi sentivo appassionato

Non solo, percepivo la soddisfazione nelle piccole cose. Nei piccoli momenti dei processi lavorativi ma soprattutto nei momenti in cui concedevo a me stesso di focalizzarmi sul mio essere. Durante un’attività fisica, una lettura o un aperitivo con amici. 

Mi stavo godendo l’intero processo.

COME ABBRACCIARE L’ESSERE E RAGGIUNGERE L’EQUILIBRIO INTERIORE

Potrei racchiudere l’essenza di questo mio percorso in alcuni aspetti che ho individuato come fondamentali nell’evoluzione personale.

  • Ho imparato a sentire le emozioni, accettarle e quindi coltivarle

Non esistono emozioni positive o negative. Esistono le emozioni, punto. Sono il più grande strumento che ho per accrescere il mio essere e difendermi da situazioni spiacevoli. 

  • Ho imparato a immaginare

Non significa inventarsi il futuro o sognare cose folli. Significa costruire una direzione nel mio percorso. 

Non tutto l’immaginario si concretizzerà, ma di certo esso mi aiuta a identificare più nitidamente il reale.

  • Ho imparato a dare reale valore alle cose belle e positive. 

Quando arrivano, espando al massimo la mia accoglienza nei loro confronti. 

Quando, invece, giunge il dolore lo sopporto, lo gestisco e non lo rendo pubblico per il solo scopo di sentirmi rincuorato dagli altri.

  • Ho imparato che la pace la trovo sempre dentro di me

Al di fuori non esiste.

  • Ho imparato che ogni pensiero che ho e che decido di perseguire e approfondire, influirà su di me

A lungo termine, sarò il frutto di ciò che ho pensato fino a quel momento

Luigi.

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