Ogni cambiamento mi scuote. 

So perfettamente che finirò per accoglierlo e assorbirlo, eppure nella prima fase mi dimeno freneticamente tra le violente onde. Provo a resistergli. 

Dopo poche sbracciate però, oggi rispetto al passato, sono in grado di ritrovare la calma e farmi cullare dal movimento delle acque agitate.

Combattere contro un mare mosso non può far altro che causarmi ulteriori problemi.  

Non significa lasciarsi trascinare dalla corrente ma piuttosto sfruttarla per prendere la mia direzione

Vi racconto tre brevi storie.

UN RAGAZZO CON LA TAVOLA DA SURF

Entrai nel chiringuito. Musica da spiaggia, risate e un potente ventilatore che provava invano a rinfrescare l’ambiente. 

Non c’era molto traffico di clienti, a quell’ora molti erano rientrati a casa per pranzare o si erano rifugiati nei numerosi ristoranti poco distanti dalla spiaggia. 

Un ragazzo sedeva al bancone con vista oceano. Di fronte a lui un mojito ghiacciato e al suo fianco una piccola tavola da surf. La dimensione era il segno inequivocabile di chi sapeva surfare bene. 

Immaginavo come fosse la sua vita. Cercavo di capirlo dai suoi gesti e dalle sue espressioni. Mi raccontavano molto di lui. 

Era un ragazzo sicuro di sé. Aveva una vita di quelle semplici, di quelle con bermuda e crema solare tutto il giorno. Di quelle in cui la preoccupazione più grande era intercettare l’onda giusta, assecondarla e poi cavalcarla

E una volta in cima volare con la mente. Trasformare quei pochi secondi in piedi sulla tavola in un viaggio di una vita. 

Convertire il tempo in esperienze, domando il rischio. 

Mi raccontò come iniziò a surfare. 

“Mio zio mi diede una tavola gialla enorme, una di quelle da cui oggi non cadrei neanche in mezzo a onde di sei metri” mi disse con un filo di presunzione.

“Era tardo pomeriggio, i colori dell’acqua e del cielo si stavano scurendo. Mi avvicinai alla riva con mio zio che portava la tavola a cui avevo già legato la caviglia.

Nelle settimane successive fu molto simpatico ricordare l’episodio. Certamente non in quell’istante. 

Non feci in tempo a entrare in acqua che la prima onda si schiantò violentemente sulla mia faccia. Non solo, un paio di secondi dopo arrivò anche la tavola. 

La mia prima surfata finì con il naso rotto in ospedale senza neanche aver sperimentato l’ebbrezza di mettermi in piedi tra le onde. 

Eppure, un mese e mezzo dopo ero nuovamente lì. Stessa ora, stessa spiaggia e stessa tavola.”

DUE BAMBINI E UNO SCIVOLO

Era primavera e amo quel periodo in cui, indossando una t-shirt e un pantaloncino, si sta una meraviglia. Non fa né caldo né freddo. 

Ero seduto su una panchina di legno con davanti a me, appoggiato sul tavolino da picnic tipico dei parchetti, il mio PC. Scrivevo molto, stavo cercando la maniera migliore per realizzare il mio blog. 

Da molto tempo sognavo di avviarlo ma ogni idea mi sembrava superficiale. Pensavo molto, leggevo e poi studiavo tanti casi di blog di successo. 

Ogni cosa io provassi a fare non mi convinceva del tutto. 

Però si stava bene, si stava un gran bene sotto quel sole dal calore morbido di inizio primavera.

Digitavo rapidamente sulla tastiera ogni cosa che mi passasse per la mente con la speranza di poter giungere presto al momento in cui, unendo i puntini, il mio progetto si concretizzasse da solo. 

Digitavo, poi alzavo il capo a pensare. Digitavo nuovamente. E ancora su con il capo a cercare l’ispirazione.

Mi fermai. 

Osservai due bambini a un trentina di metri da me. I classici bambini che giocano sullo scivolo di un parchetto di paese. 

Non prendevano neanche un secondo di respiro tra una discesa e l’altra.

Si lanciavano spensierati. Lo facevano nei modi più disparati e non si curavano del pericolo. Non gli importava nulla. 

Non sembrava affatto essere un loro problema il come sarebbero arrivati in fondo allo scivolo. Si preoccupavano solo di godere ogni secondo durante la discesa. 

“Sono incredibili i bambini. Due settimane fa mio figlio si è tagliato sotto il mento scendendo così dallo scivolo eppure guardalo” mi disse la madre passandomi accanto per raggiungere e richiamare il figlio.

E io ci credevo. I bambini sono così, non vivono ancorati al passato. Preferiscono stare con i piedi ben saldi al presente. Osservavo quel bambino. Non sembrava affatto traumatizzato dall’episodio accadutogli due settimane prima.

Era come se non avesse memoria. Se non fosse stato per il rimprovero della madre, di certo lui non avrebbe pensato all’incidente di qualche tempo prima. Si lanciava, punto.

IL COMMERCIANTE CHE PULISCE GLI UFFICI

Viveva da pochi anni a Tenerife, nelle isole Canarie.

Aveva una piccola attività commerciale. Vendeva tavole e accessori da surf. Ma oltre a essere il proprietario dell’attività, era anche colui che si accollava molte mansioni che nessun altro intendeva svolgere.

Puliva gli uffici una volta a settimana. Ma non si lamentava.

Spazzava il pavimento il venerdì sera dopo le 19.00 quando non era rimasto più nessuno in negozio. Era giusto l’ora in cui il sole cadeva a picco nell’oceano.

Ogni sera sembrava quella giusta in cui quell’immensa palla di fuoco avrebbe spezzato la linea dell’orizzonte. Eppure, tutte le volte, non accadeva nient’altro che l’affievolirsi dei colori giallastri e rossi in favore dell’arroganza del blu scuro della notte. 

E lui restava lì, impalato, a osservare l’eccesso di forza che possedeva la natura.

Il pavimento splendeva e la scopa non ce la faceva più. Forse esagerava nella pulizia, ma la verità è che di essa non gli importava nulla. 

Si era costruito la più bella delle abitudini, pulire accuratamente l’ufficio per il semplice stare in compagnia del tramonto, doverosamente solo. 

“Sai Luigi, ho vissuto anni complessi in passato. Sono scappato da un mondo che non mi apparteneva più. Un mondo fatto di superficialità, falsità e poca attenzione al prossimo. Qui ho trovato il mio ambiente ideale. Vivo ai miei ritmi, apprezzo quello che faccio e godo di una splendida compagnia.”

Erano parole di chi stava assaporando un equilibrio capace di elevare la propria anima.
Ma erano anche parole di chi aveva dovuto sacrificare molto. Di chi ha dovuto fare scelte forti e accogliere grandi cambiamenti.

POSSEDERE UN GRANDE PERCHÉ

Potevo abbandonare tutto. D’altronde ero un bambino e mi ero appena scontrato con un episodio traumatico come un naso rotto. Chi me lo faceva fare di tornare a provarci? E non ti nego che ci avevo pensato. Ma ho pensato anche alla bellezza dei surfisti che vedevo danzare sulle onde ogni sera.

Avevo solo un obiettivo, diventare come loro. Provare a fare quello che faceva mio zio. Ero un ragazzino ma vedevo in lui, e nei suoi amici, divampare un entusiasmo, quando arrivava l’ora di surfare, che non trovavo da nessun’altra parte.

Mentre recuperavo lentamente dopo l’operazione, ricordo che sognavo me sulla tavola al fianco di mio zio. Non avevo più alcun dubbio. Per il resto della mia vita avrei surfato. E così è stato.”

IL FOCUS SUL PRESENTE RENDE LIBERI

“Quel bambino non ha programmi per il futuro. Quel bambino non ha ricordi del passato. Quel bambino ha spazio solo per ciò che sta facendo ora.”

Così appariva ai miei occhi. 

Il suo impegno e il suo entusiasmo libero da contaminazioni passate e future lo rendevano l’assoluto protagonista della sua stessa vita. La mente umana non è concepita per pensare a troppe cose in contemporanea. 

È capace di focalizzarsi a fondo su un’unica cosa. E quando è realmente concentrata e appassionata con essa, non ha tempo da perdere con questioni e situazioni fuori dal proprio controllo. Non ha tempo per rimuginare sul passato o farsi ossessionare dal futuro. 

Gode il presente, l’unica cosa che possiamo controllare ma che, spesso, ci lasciamo scappare.

LA MENTE APERTA ACCOGLIE IL CAMBIAMENTO

“Potevo scegliere di farmi andare bene quella vita scomoda passando il tempo a lamentarmi o semplicemente a stare male. E, invece, ho scelto di cambiare. Cambiare io per primo e poi cambiare il contesto in cui vivevo.”

Tutti abbiamo una vita che comprende vincoli ma possiamo agire per abbatterne alcuni. Molti ostacoli che ci sembrano insormontabili, non sono altro che il frutto della programmazione che abbiamo ricevuto da giovani. 

Ogni giorno abbiamo la possibilità di scegliere come evolvere. 

“Io non avevo scelto di vivere in quel luogo, circondato da quelle persone e in un contesto che non mi soddisfava. Ma potevo scegliere di modellare la mia vita in base al mio essere. Dovevo cambiare io, e l’ho fatto. Con il tempo sarebbe cambiato anche il mondo intorno a me, ed è accaduto.”

TUTTO CIÒ CHE SERVE

Ho capito da queste tre storie che sono pochi gli elementi necessari per accogliere il cambiamento e trovare un equilibrio. 

La sofferenza e il disagio sono caratteristiche necessarie ma soprattutto sono momenti di pura verità. Rappresentano l’elemento scatenante di ogni mio cambiamento.

Le tre storie mi hanno portato a comprendere che le tre caratteristiche necessarie per accogliere e affrontare un cambiamento sono:

  • un forte perché, come quello del surfista dopo essersi rotto il naso
  • un grande focus sul presente, come quello del bambino capace di godere ogni istante
  • e una grande apertura mentale, come quella del commerciante, capace di cambiare in meglio la sua vita

Come dice Naval Ravikant, “la sofferenza è biologicamente utile. È l’agente preferito della natura per ispirare il cambiamento.”

I grandi avvenimenti, come i sogni realizzati dal surfista o dal commerciante, sono solo gli effetti visibili dei cambiamenti avvenuti nei loro pensieri, nella loro mente. 

E oggi, rispetto al passato, si tratta di pensieri complessi, molto più difficoltosi perché viviamo in un mondo sensibilmente mutato, in cui le possibilità di scelta che abbiamo a disposizione sono infinite.

Ma il mio tempo non lo è. 

Nessuno si ricorderà di me tra 100 anni. Per questo motivo, mi diverto, agisco positivamente e provo a dare sempre qualcosa agli altri, vivendo un grande senso di gratitudine quotidiano.

Se io cambio, il mondo cambia. Non ricordo dove ho letto questa frase ma è pura verità. 

Luigi.

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