Ho iniziato a scrivere questo articolo con un forte desiderio di raccontare ogni aspetto e sensazione che ho vissuto nel cambiare lavoro

Volevo percorrere fedelmente il mio percorso ed essere d’ispirazione, anche solo in piccola parte, per qualcun altro.

Da anni vivevo nella mia bolla, quelle del lavoro per cui avevo studiato, per cui avevo investito migliaia di euro in formazione e per cui provavo una grande passione. Erano state tutte scelte mie, nessuno mi aveva imposto nulla. 

Ma quel giorno mi sentivo arrivato al culmine. Mi sentivo, come mai prima di quel momento, con l’acqua alla gola. Quella sensazione spiacevole e oppressiva di chi ha compreso che qualcosa di bello, qualcosa che ti aveva fatto appassionare, era giunto al termine.

Da qualche tempo stavo trascinando quel ping pong mentale che a tratti mi suggeriva di mollare e ripartire da altro e a tratti mi supplicava di proseguire su quella strada. 

Ma non avevo più neanche benzina per stare a quel gioco.

PERCHÉ CAMBIARE LAVORO

I cambi di vita possono avvenire per innumerevoli motivi. Un cambio di lavoro è un cambiamento importante, un cambiamento che incide pesantemente nell’esistenza. 

Ne ero consapevole. 

Lavoravo nel mondo del calcio da sempre. Avevo fatto il mio percorso da giocatore e mi ero dedicato ben presto al ruolo di allenatore.

Ormai ero immerso completamente nel settore e ogni cosa che facessi era direttamente o indirettamente connessa a quel mondo: molti amici che frequentavo, nuove conoscenze, progetti professionali e soprattutto, nella mia testa, i sogni per il futuro

Ogni settore ha i propri pro e propri contro. Ma nel mondo in cui mi trovavo cominciavo a sentirmi pesantemente a disagio. 

Era come se stessi provando a indossare abiti troppo stretti per contenere il fuoco dei miei sogni. 

Ogni volta che provavo a lanciarmi per alzare l’asticella, interveniva un fattore limitante. E continuavo a sperimentare quell’odiosa sensazione di voler spaccare il mondo e di non aver nessun appiglio su cui fare leva per sprigionare la mia forza.

Ma vivevo anche l’altra faccia della medaglia, la bellezza di stare sul campo, di veder crescere gli atleti che allenavo, il riconoscimento delle loro famiglie e, spesso, quello dei colleghi. 

Dunque si intensificavano quotidianamente le domande che mi facevo sul percorso. Dovrei proseguire? Forse potrei esplorare nuove opportunità? Mi piace realmente quello che faccio?

Erano campanelli d’allarme. Chi sta bene nel fare qualcosa, è troppo impegnato nel farla per perdersi in dubbi. 

Lavoravo duramente e in maniera professionale ma mi stavo accorgendo che il mio livello di attenzione stava calando. Quando potevo distrarmi con qualsiasi altra attività lo facevo. 

Era chiaro, si stava esaurendo la batteria e non avevo più modo né voglia di metterla sotto carica

Quando mi fermai per un istante a pensare più intensamente alla mia persona, e al meglio per me stesso, capii che alcuni segnali andavano ascoltati. 

Non esiste scusa al mondo. Può dispiacere decidere di cambiare carriera perché abbiamo investito soldi e tempo nel formarci, può dispiacere deludere chi, intorno a noi, credeva di vederci realizzati in quel settore o può crearci preoccupazione l’idea di rilanciarci ripartendo da zero a 30 anni o più

Ma la verità è che, quando non ci sente più a proprio agio in una determinata condizione, bisogna essere severi con noi stessi e fare scelte forti. C’è sempre tempo per costruire un futuro che valga la pena di essere vissuto piuttosto che trascinarci in una vita di rimpianti e disagio.

Abbattere un apparente ordine, scatenando un temporaneo caos, consente di generare un nuovo ordine di livello superiore.

COSA FARE PER CAMBIARE LAVORO

Era una mattina nuvolosa. Mi trovavo a Madrid e, da poco più di un mese, vivevo lì. 

Avevo sempre coltivato la passione per tante cose, una di queste era il mondo del digital marketing. A dire la verità odiavo il marketing perché non avevo mai apprezzato i compiti di vendita nelle mie precedenti esperienze. Ma non ne sapevo granché, mi basavo solo su una percezione ignorante del mestiere.

Non ero neanche particolarmente attratto da una sua materia specifica. Mi piaceva mettermi in gioco solo in quelle mansioni più estetiche come la fotografia, qualche video, qualche grafica e ogni tanto mi dilettavo anche a scrivere. 

Qualcuno mi aveva pure fatto qualche complimento, ma di certo non consideravo di diventare un professionista del settore. 

Seguivo tanti creators italiani e non, e mi ricordo dell’ammirazione che avevo nei loro confronti. Riuscivano a trasmettermi leggerezza e valore nel loro mestiere. Da qualche parte stava nascendo il sogno di entrare a far parte di quella “famiglia” di persone creative, giovani e, molti di loro, con ambizioni simili a quelle che avevo sempre ricercato, e mai trovato, in passato nel calcio. 

Non impiegai molto. Mi ricordavo che, qualche anno prima, avevo visto (casualmente) un video di un creator italiano che parlava di Start2impact, una realtà che offre formazione in ambito digitale e ti inserisce nel mercato. 

Feci velocemente un confronto del servizio formativo con una società simile che era lì in Spagna. Ero stato avvolto da una euforia mista a frenesia che mi gridava di comprare immediatamente quel Master in digital marketing. 

Non avevo mai sperimentato quello shakerato di emozioni.

In mezz’ora avevo fatto tutto. Era quasi fine ottobre.

Mi sentivo orgoglioso e straripante per quello che avevo appena concretizzato. Lo ero perché, da persona che pensa a lungo prima di fare una scelta, in quel caso avevo agito con rapidità.

Aggredii lo studio e non riuscivo a staccarmi. Mi concedevo i pasti, l’allenamento e il sonno. E più proseguivo, più mi sentivo sulla strada giusta. 

Non avevo nulla in mano, nessuna certezza, o forse una: stavo ripartendo da zero. Ero consapevole che non sarebbe stato facile formarsi e posizionarsi su un nuovo mercato senza alcuna esperienza. 

Ma mi sentivo forte della mia determinazione e non lasciavo che il cervello si contaminasse di pensieri negativi su questioni che non potevo controllare nel presente. Trovare un lavoro in quel mondo che mi stava riaccendendo il fuoco sarebbe stato un compito del futuro. In quel momento dovevo solo prepararmi per essere un concreto valore per il mercato del marketing digitale.

Ho capito con quell’esperienza quanto sia facile e al contempo difficile controllare il proprio futuro. Mi sono accorto che, quanto più spostavo la mente sul difficile quanto più perdevo il controllo. Il difficile non era altro che la nebbia fitta che abbiamo tutti noi di fronte quando proviamo a scorgere il nostro futuro con l’aspettativa di vedere qualcosa. 

Quando mi focalizzavo sul facile, ovvero il presente e i piccoli passi fatti di nuove competenze acquisite, conquistavo forza e ottimismo.

In quel periodo, provai comunque a candidarmi a tanti posti di lavoro ma, neanche a dirlo, non venivo considerato.

Mi misi in testa che stavo solamente facendo un lavoro di semina del campo. Avrei raccolto i risultati entro i primi sei mesi. 

E qui, l’altro grande insegnamento. 

Il tentativo di fare ogni cosa misurando costantemente il tempo sopprime la pazienza. Porre attenzione esclusiva alle piccole azioni, che favoriscono la crescita e il miglioramento personale senza farsi ingolosire da futili date di scadenza, mi stava offrendo il raggiungimento di piccoli obiettivi e rinnovata motivazione.

LE COSE ACCADONO SE TE LE PRENDI

Proseguiva il silenzio assordante delle risposte alle mie candidature di lavoro.

Avevo iniziato a propormi alle aziende che ritenevo più affini al mio stile, poi ero sceso a compromessi candidandomi anche a quelle meno attraenti. Infine, mi candidavo in massa a ogni posizione aperta che si avvicinava anche lontanamente a quello che mi piaceva, in Spagna e in Italia.

Silenzio totale.

Qualche colloquio in realtà lo avevo sostenuto. Ma non avevo mai vissuto incontri di lavoro così scadenti in termini di coinvolgimento. 

Ma non volevo cedere al senso di insoddisfazione.

Una mattina mi arriva un’e-mail:

“Ciao,

come Start2impact, stiamo selezionando 5 studenti per un evento benefico di Marketing Espresso in cui verranno creati dei team che dovranno elaborare delle strategie social per 3 onlus. Puoi candidarti ora.”

Dovevo essere tra quei cinque.

Era l’occasione per mettersi in gioco, fare beneficenza verso delle Onlus, ma soprattutto era l’evento dove potevo coltivare lo strumento più potente nel mondo del lavoro e del business: il network. 

Dedicai tutto il tempo necessario per compilare il modulo di candidatura. Impiegai molto per rispondere alla domanda: qual è la motivazione che ti ha spinto a candidarti. 

L’avevo riletta cento volte per essere sicuro di aver scritto qualcosa di rilevante e convincente.

Il 21 novembre mi arrivò una seconda e-mail: “Esito delle candidatura”. 

“Con questa e-email ti comunico che ti abbiamo selezionato per ricevere il pass per l’evento ShareMe di Marketing Espresso.”

Esultai come facevo quando ero su un campo da calcio. Ma il terreno di gioco era cambiato.

Non restava che rientrare in Italia e, il 16 dicembre, recarmi a Roma per l’evento. 

Non sapevo cosa aspettarmi ma avrei voluto godermi l’esperienza al massimo, conoscere gente interessante e mettere alla prova quanto stavo apprendendo.

Il giorno della presentazione, vennero mostrati i progetti da realizzare e i mentor che avrebbero seguito i gruppi di lavoro. 

Tutta bella gente, competente e disponibile. Uno di loro, per il suo particolare modo di fare e per la sua ironia, spiccò per la sua simpatia. Si presentò come un’azienda, Lead Group, che fa eventi e attività di marketing off-line, in controcorrente rispetto a tutti coloro che oggi si occupano di digitale.

Mi aveva attirato per la sua ironia, non per la sua attività. Ero molto orientato verso il digital. 

L’evento andò alla grande, strinsi relazioni interessanti e avevo il treno per rientrare a Milano proprio il giorno (18 dicembre) in cui si giocava la finale mondiale di calcio, probabilmente, più bella della storia: Argentina – Francia.

E io, cresciuto con il calcio al fianco per tutta la vita fino a pochi mesi prima, passeggiavo per le strade della città più bella del mondo, Roma, spensierato e assaporando i suoni, i colori e le bellezze dell’antichissima capitale al tramonto. 

Con un passo molto lento provavo a catturare ogni dettaglio e mi sentivo molto orgoglioso della forza con cui avevo ripreso le redini del mio percorso. 

Ancora non avevo in mano nulla, per quelli che sono gli standard tradizionali. Ma per i miei nuovi standard avevo già conquistato tutto. Ero consapevole di aver fatto il passo decisivo verso un cambiamento che appariva come quasi impossibile da realizzare a trent’anni appena compiuti. 

Passavano i mesi, proseguivo nel formarmi ma nulla a livello lavorativo. Provavo a non dargli troppo peso. Provavo a spostare la mente verso il pensiero positivo. Mi ripetevo che ero in un processo di incubazione che richiede del tempo.

Fiducia nel progresso.

Fine marzo. Aprii l’app di LinkedIn, e tra i primissimi post lessi:

“Cerchiamo un business developer.”

Spostai lo sguardo verso l’utente che aveva pubblicato la posizione aperta e, pensate un po’, era il mentor simpatico che mi fece ridere per la sua presentazione a Roma qualche mese prima: Renato.

Aveva pubblicato quella posizione aperta da neanche quaranta minuti.

Abbandonai ogni cosa che stavo facendo e, dopo aver letto attentamente quanto indicato nella descrizione del posto di lavoro, mi lanciai a scrivergli un’e-mail accompagnata da una cover letter, non richiesta, ma in cui volevo porre il mio valore differenziante.

Mi concentrai al massimo, volevo prendere quel posto. Inviai tutto e spensi il PC.

Passarono pochi giorni e organizzammo il primo colloquio. Eravamo allineati. Poi un secondo colloquio. Avevamo l’accordo.

La settimana successiva iniziai, erano i primi giorni di aprile. Avevo cominciato il Master a fine ottobre, mi ero detto che in sei mesi sarei entrato in quel mercato nuovo. Me ne sono serviti anche meno.

Da quel giorno ho conosciuto tante persone che mi hanno confidato di voler fare un passo così deciso verso un cambiamento nella loro vita. E mi hanno anche espresso tutta una serie di paure e timori che li tengono tuttavia ancorati a situazioni che non apprezzano e che avvolgono la loro vita in un disagio quotidiano

E io sorrido perché, in tutte queste persone, mi ci rivedo totalmente. Comprendo ogni emozione e sentimento che provano, con fatica, a descrivermi. E comprendo la frustrazione nel non riuscire a individuare mai il momento giusto per prendere in mano il proprio percorso e cambiare strada. 

È normale sperimentare questa condizione. Ma ho capito che la nostra mente sguazza in tutto quello che di sbagliato c’è nella nostra vita solo quando decidiamo di non concentrarci intensamente e profondamente in quello che vogliamo realmente fare. 

Quando siamo concentrati nella costruzione quotidiana del nostro percorso di crescita, la mente avrà spazio solo per focalizzarsi in quello che sta funzionando.  

Buon cambiamento.

Luigi.

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